Medici e infermieri

Medici e infermieri

Ciao. Ti capita di non aver chiaro quale relazione di team ci sia tra medico e infermiere ? Lo capisco. Molte cose sono cambiate negli ultimi 20 anni e ci sta che ci possa essere confusione. Io ho lavorato in team con gli infermieri dal 1984 al 2023, un periodo lungo. Medici e infermieri sono i professionisti sanitari con ruoli trasversali rispetto a patologie, discipline, organizzazioni e hanno la maggiore esperienza di contatto continuativo con pazienti e parenti. Per questo la loro relazione , sia professionale che umana, è quella più impattante sugli obiettivi di salute pubblica. La professione infermieristica ha subito sostanziali evoluzioni dalla laurea all’ordine professionale. Molte forte è stato il bisogno di rafforzare l’identità professionale, le autonomie decisionali, le responsabilità etiche e medico legali, i percorsi di formazione e di aggiornamento, le competenze tecniche e non tecniche. I risultati di questa evoluzione sono evidenti e condizionano in modo decisivo il successo delle cure. La professione medica, invece, è sostanzialmente ferma sulle posizioni degli anni 80: percezione di leadership statica e obbligata nei team sanitari, gerarchia funzionale e organizzativa, monopolio formativo e scientifico, potere dell’accademia e dei dipartimenti. Ricordo molto bene le resistenze, l’ironia e le aperte critiche che molti medici, soprattutto universitari, manifestarono per l’introduzione della laurea in Infermieristica: ho sempre pensato che tutto ciò fosse il frutto di insufficiente autostima e paura di confronto da parte di molte persone che scelgono la professione medica per colmare vuoti e riparare fragilità. L’evoluzione degli infermieri è un enorme progresso per la sanità perché rafforza un ruolo che è indispensabile per la sanità. 

Tuttavia qualcosa non sta andando per il verso giusto e mi imbatto con una certa frequenza in posizioni che non mi tornano come: “gli infermieri devono essere formati solo dagli infermieri” “gli infermieri sono autonomi e autosufficienti” “gli infermieri non devono eseguire le indicazioni del medico” Che sta succedendo ? Ho imparato e sono cresciuto professionalmente da chiunque mi dimostrasse competenze, cultura, esperienza e saggezza: dal mitico professor Ascenzi luminare di Anatomia Patologica alla fantastica caposala della Medicina del San Giovanni a Roma. Nessun professionista sanitario è autonomo e autosufficiente: si cura sempre in team anche se la formazione universitaria ancora oggi non sempre lo prevede. La leadership statica e obbligata è un concetto superato e da abbandonare: nessun prende ordini da un altro membro del team, chiunque può esercitare la leadership in qualsiasi momento in cui la situazione del paziente lo richiede. I medici non possono fare a meno degli infermieri e gli infermieri non possono fare a meno dei medici. E’ un concetto di simmetria compatibile con le diverse competenze, con i diversi ruoli, coni diversi percorsi formativi. 

Praticare e rafforzare le abilità non tecniche

Praticare e rafforzare le abilità non tecniche

Le abilità non tecniche dei professionisti della salute determinano il raggiungimento degli obiettivi dei team più di quanto non facciano le conoscenze e le abilità tecniche.

Come praticare e rafforzare le abilità non tecniche nei percorsi formativi dei professionisti sanitari ?

Alessandro Barelli spiega alcune possibilità che i facilitatori hanno disponibili per rafforzare fattori come consapevolezza della situazione, lavoro di gruppo, decisionalità, leadership.

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La competizione favorisce l’apprendimento e lo sviluppo professionale ?

La competizione favorisce l’apprendimento e lo sviluppo professionale ?

Esistono in Italia recenti esempi di competizioni tra pari utilizzate in contesti educativi e di addestramento alle abilità tecniche in ambito sanitario come la SimCup organizzata dal Sim Center di Novara e la Skill Competition nell’ambito del 71° Congresso Nazionale SIAARTI.

  1. Mettere in competizione le persone favorisce o ostacola la ritenzione delle competenze e delle abilità ?
  2. Il team-work migliora se si stimolano i componenti del gruppo a competere tra di loro ?
  3. E’ preferibile stimolare lo spirito collaborativo piuttosto che quello competitivo ?

Non condanno lo spirito competitivo in se ma stresso l’importanza dello spirito di collaborazione che deve poter mitigare l’asprezza degli ambienti eccessivamente competitivi dove si compete contro gli altri e non con gli altri.

Quindi la competizione, soprattutto se utilizzata in ambito formativo, deve essere posizionata con forza in un contesto collaborativo che consenta alle persone di lavorare insieme, di aiutarsi e di compensare le debolezze altrui.

“Guarda alla tua sinistra, guarda alla tua destra: uno di voi due non sarà qui l’anno prossimo.” Questa frase intimidatoria è utilizzata come messaggio di saluto per gli studenti della Harvard Law School nel film Esami per la vita. L’esplicito della frase recita che per avere successo nella scuola occorre lavorare duro. Il messaggio non detto è che il tuo successo dipende dal fallimento di qualcun altro.

In una competizione qualcuno perde se c’è qualcuno che vince e quindi per raggiungere il proprio successo si negano informazioni che possano aiutare gli altri e si rifiuta l’aiuto se qualcuno lo chiede. Tutto ciò blocca il team-work anzi è l’antitesi del team-work. Salvare se stessi è il principale obiettivo.

Nell’organizzazioni, anche se i leader non disegnano in modo esplicito un ambiente da gioco vincita/perdita, la mentalità competitiva è lo standard più diffuso per i professionisti che tendono al successo. La conseguenza non voluta è una mentalità che vede il successo come un gioco a somma zero, dove il mio successo dipende dal tuo fallimento. Il focus diventa “come sto facendo in confronto con gli altri” e la gestione delle apparenze domina sull’apprendimento e sul lavoro di squadra. Organizzare competizioni a premi in ambito educativo presuppone dei vincitori e dei perdenti. Che ne sarà dell’apprendimento, del cambiamento e dell’autostima dei perdenti ?