Internet e i cervelli diversi: la memoria

Internet e i cervelli diversi: la memoria

Il cervello umano NON è come un computer.

Cioè: l’intelligenza umana è del tutto diversa da quella delle macchine.

Perché va ribadito, ricordato, diffuso

Larry Page ha fondato Google insieme a Sergej Brin. Egli pensa che il cervello umano non si limita ad essere simile a un computer: è un computer. Da questa considerazione ne nasce un’altra sempre molto cara a Google: l’intelligenza è equiparabile all’elaborazione dei dati e può essere ridotta ad una questione di produttività cioè di gestione del maggior numero di dati nel più breve tempo possibile. Se l’intelligenza umana funziona in questo modo, è indistinguibile da quella dei computer.

Per questo motivo Google è stato dichiarato come una forma embrionale di intelligenza artificiale: nel 2003 Page ha sostenuto che il motore di ricerca finale sarà più intelligente di una persona. Alla base di questa concezione c’è la visione tayloristica secondo la quale l’intelligenza è il risultato di un processo meccanico cioè di una serie di passaggi definiti, isolabili, misurabili e ottimizzati. Quindi il cervello umano è un computer non aggiornato che avrebbe bisogno di un processore più veloce, di un disco fisso più capiente e di algoritmi efficienti per governare il corso dei pensieri. Fortunatamente la realtà è diversa dalle magiche e commerciali aspettative di Google.

Nicholas Carr ci spiega perché.

Erasmo da Rotterdam nel 1512 mette in evidenza la relazione tra memoria e lettura e sostiene che la memoria non è soltanto uno strumento per l’archiviazione di dati nel cervello ma il primo step di un processo di sintesi che porta alla comprensione profonda e personale di quanto si legge; d’accordo con Seneca, Erasmo sostiene che la memoria è un crogiuolo oltre che un contenitore cioè qualcosa di più della semplice somma dei ricordi. Il che equivale a dire che c’è un collegamento stretto tra memoria e intelligenza. Tenendo ben presente questo concetto è importante considerare quello che è successo quando si sono diffusi i nuovi media che hanno ampliato in modo significativo l’entità e la disponibilità delle memorie artificiali. La disponibilità in rete di banche dati sconfinate e facilmente accessibili ha fatto ritenere sempre meno essenziale o addirittura inutile l’utilizzo della memoria umana. La rete è diventata un sostituto, e non soltanto un’integrazione, della memoria umana, una sorta di cervello fuoribordo.  Il vecchio detto ”L’arte del ricordo è l’arte del pensiero” sembra un concetto fuori moda e inutile e la memoria non è più una cosa umana. Avendo inoltre pienamente accettato la metafora del cervello come computer, cioè la memoria biologica funzionante come un disco fisso, scaricare l’incombenza della memoria sulla rete non è soltanto possibile ma liberatorio. Abbiamo così a disposizione una memoria molto più capiente e possiamo liberare spazio nel nostro cervello per operazioni più significative e umane. Ma il problema è che questa concezione della memoria è sbagliata.

Per comprendere il perché la memoria biologica è completamente diversa da quella informatica sia in termini di struttura che in termini di funzionamento, è importante sapere cosa succede quando un ricordo di breve periodo diventa un ricordo stabile e di lungo periodo. I ricordi primari svaniscono dalla mente poco dopo l’evento che gli ha suscitati mentre invece i ricordi secondari possono anche essere mantenuti nel cervello per un tempo indefinito.

I ricordi si fissano nel cervello dopo un certo tempo, circa un’ora, e qualsiasi elemento disturbante, un colpo la testa o una semplice distrazione, può eliminare il ricordo nascente e impedire che si trasformi in un ricordo di lungo periodo.

I ricordi a lungo termine non sono soltanto una versione rafforzata di quelli a breve periodo poichè la loro formazione richiede la sintesi di nuove proteine cosa non richiesta per la formazione di ricordi a breve termine in cui è richiesto soltanto un cambiamento della funzione di sinapsi già esistenti. Queste nuove proteine sono necessarie per lo sviluppo di nuove sinapsi. La formazione dei ricordi a lungo termine, quindi, non comporta solo fenomeni biochimici ma anche cambiamenti anatomici. Questo fatto è coerente con il dato che il numero di sinapsi del cervello non è prefissato bensì si modifica con l’apprendimento. La sintesi di nuove proteine e la creazione di nuove sinapsi indica che per dare origine alla memoria a lungo termine debbano essere attivati dei nuovi codici genetici; anche questo dato è coerente con il fatto che il patrimonio genetico non è soltanto un determinante per il comportamento ma risponde anche alle stimolazioni ambientali come l’apprendimento.

Questi aspetti della memoria umana sono quindi governati da segnali biologici, chimici, elettrici e genetici ad alta variabilità e dotati di una quantità di sfumature infinita. Le memorie digitali invece sono costituite da bit binari elaborati con circuiti prestabiliti che possono essere aperti o chiusi e che non ammettono nulla di intermedio tra queste due opzioni. Questa è l’enorme differenza fra la memoria biologica e quella digitale: la memoria biologica è viva in quanto in grado di produrre nuovo materiale biologico anatomicamente e funzionalmente attivo; la memoria digitale prende la forma di codici statici che possono essere trasferiti da un dispositivo all’altro anche per un numero infinito di volte ma rimangono sempre esattamente identici.

Diversamente dal computer il cervello umano sano non raggiunge mai un punto in cui le esperienze non possono più essere archiviate nella memoria: in questo senso il cervello non è mai pieno e l’aumento del nostro personale bagaglio di ricordi comporta anche un aumento della nostra intelligenza.

Photo by Markus Spiske on Unsplash (modified)