Il sabotaggio interno

Il sabotaggio interno

Leggendo il bellissimo post di Susanna Minasi ho pensato di aggiungere un pezzettino al sacrosanto concetto che Susanna mette in evidenza: quello che ci è successo da bambini è la base e la struttura di come siamo da adulti.

Ti è mai capitato di pensare o fare cose che non funzionano bene per te o che addirittura ti danneggiano ? A me spesso. Ad esempio c’è stato un tempo in cui facevo cose che alla fine esitavano in un danno fisico, traumi ad esempio. Sfidandomi ai limiti delle mie capacità mi esponevo a rischi grandi per la mia incolumità. Mi è successo con la Mountain bike, con il kite, con la barca, con lo sport in generale, in macchina o in moto. 

Oppure ti è mai capitato di fare o pensare cose che ostacolavano qualcosa di bello che ti stava capitando ? Per esempio una bella storia d’amore con una persona fantastica e speciale.

Io chiamo questi situazioni sabotaggi: cioè c’è  un pezzo di te che mette in atto pensieri e azioni che sabotano. Ognuno di noi ha un potenziale sabotatore pronto ad entrare in funzione.

Ma perché ? Da dove proviene e che significato ha questa parte di noi distruttiva  e negativa ?

E soprattutto: come si gestisce e come si neutralizza ? 

Il sabotatore, o la sabotatrice, sono il residuo attivo di meccanismi di adattamento che abbiamo messo in atto in epoche molto antiche per sopravvivere a condizioni che erano vissute come avverse e pericolose. Vediamo qualche esempio di situazione avversa che il piccolo bambino, o la piccola bambina, si può trovare a gestire. Teniamo bene presente che i bambini non hanno gli strumenti adulti per gestire la vita: il loro esame di realtà non è affidabile, non sanno dare spiegazioni razionali a quello che vedono o sentono, sono totalmente dipendenti dai genitori, non possono prendere decisioni autonome, hanno capacità comunicative primordiali. 

Il padre di un bambino di 3 anni si ammala e in pochi mesi muore. Nessuna possibilità di capire la realtà: il bambino si sente abbandonato, vede la mamma piangere disperatamente e rimanere triste per molto tempo. Soprattutto il non poter spiegare quello che era avvenuto gli crea una tale angoscia, una tale incertezza, una tale confusione da fargli pensare di non poter sopravvivere. Allora comincia a pensare  che le persone, più specificatamente i maschi, possono improvvisamente sparire senza lasciare traccia. E poiché lui è un maschio, appunto, decide che anche lui un giorno sparirà così come ha fatto suo padre. Si adatta a questa regola che crede corretta e comune. Si adatta ad un modello che potesse spiegare e giustificare quello che era successo. E non è più in confusione e in angoscia. Sta sopravvivendo a quella situazione pericolosa e minacciosa. 

Diventato grande, quell’uomo aspetta che da un momento all’altro scomparirà e non esisterà più perché quella regola imparata è profondamente archiviata nel cervello antico ed emotivo mentre non c’è ricordo del perché quella regola esiste e deve essere applicata. Teme le malattie, fa fantasie di morte per qualsiasi fatto che riguardi il corpo e anche il più banale disturbo gli fa pensare che è arrivata una malattia inguaribile e mortale. Oltre a questo si mette in pericolo in vario modo oltrepassando i propri limiti fisici ed esponendosi a incidenti e traumi di vario tipo. Nell’ambito relazionale, cerca rapporti problematici e fonte di malessere evitando accuratamente situazioni positive, giuste, amorevoli. Insomma si sabota in vario modo. La felicità e il benessere non sono una buona regola. La solitudine, la tristezza, la malattia sono buoni modelli. 

Il sabotatore, cioè il Bambino adattato lo aveva fatto sopravvivere, continua ad esistere e a lavorare ignorando la realtà che dice che quelle vecchie condizioni cui bisognava adattarsi non ci sono più. L’adattamento che lo aveva salvato allora è disfunzionale ora. Il meccanismo e la regola sono uguali, la realtà è diversa. 

Un giorno un angelo buono, travestito da psicoterapeuta, gli racconta questa storia e lui capisce che non deve più adattarsi perché l’adattamento non adeguato alla realtà è diventato sabotaggio. Purtroppo è abituato, anzi affezionato, a quel Bambino adattato trasformato in sabotatore e reprimerlo è difficile. Ci vuole tempo per convincere il Bambino (interno) che non serve più. e’ la coazione a ripetere di Freud: insistiamo a continuare a fare cose cui siamo abituati anche se fanno male. A peggiorare la situazione c’è anche la rabbia verso il sabotatore interno, la rabbia verso noi stessi. Abbandonare questa rabbia è la svolta: smettere di odiare il sabotatore e accettare che ci ha fatto sopravvivere in un tempo lontano. Forse addirittura gli dobbiamo essere grati, ringraziarlo: non mi servi più, hai fatto un buon lavoro in passato, grazie. 

Cerchiamo, vediamo e guardiamo e alla fine accettiamo il nostro sabotatore: forse ci proverà ancora ma gentilmente potremo dirgli: no grazie. 

Foto di Alexander Grey su Unsplash

 

Ignorare i nastri registrati del Genitore

Ignorare i nastri registrati del Genitore

Ho avuto in terapia un giovane uomo il cui padre era stato in prigione per molti anni e la cui madre si ingegnava con piccoli furti per sostenere la famiglia. Il paziente aveva l’idea stabile, forte e profondamente radicata che “non bisogna mai fidarsi di un poliziotto”. Questa idea proveniva dal riascolto di nastri registrati nello Stato dell’Io Genitore sia dalla madre che dal padre. 

Il giovane uomo un giorno incontra un giovane poliziotto che lo aiuta a gestire una difficile situazione lavorativa. Il poliziotto è gentile, cordiale, disponibile, autentico e affidabile. 

La realtà che ha davanti agli occhi entra in pesante conflitto con il riascolto del nastro del Genitore Normativo. Ma non bisognava mai fidarsi dei poliziotti ? Il Genitore dice una cosa e l’Adulto un altra. Per anni il nastro registrato del Genitore Normativo, cioè la voce interna che dice ad alta voce e con tono autoritario: “Non fidarti mai di un poliziotto !!”, è stato considerato la assoluta verità non contestabile e assoluta. Per un bambino è molto prudente credere a quello che dicono i genitori piuttosto che contestarla sulla base di quello che vede e che sente. Il Genitore rappresenta una minaccia così forte che si deve rinunciare a indagare sul conflitto che si è creato per capire se la “verità” è la realtà o il nastro registrato. 

Ma per fortuna il Genitore è una minaccia non reale ma immaginata dal Bambino e se l’Adulto rivaluta e corregge il nastro registrato sulla base della realtà, non corre alcun rischio anzi migliora le scelte di vita e le rende aderenti alla realtà del qui ed ora e non al vissuto del la ed allora.

Foto di Daniel Schludi su Unsplash

Il Bambino che c’è in noi

Il Bambino che c’è in noi

Mentre lo Stato dell’Io Genitore contiene la registrazione degli avvenimenti esterni al bambino, lo Stato dell’Io Bambino include le registrazioni degli avvenimenti interni cioè delle reazioni del bambino a ciò che vede e sente.

Queste reazioni consistono essenzialmente in emozioni e stati d’animo in quanto il bambino non è in possesso di strumenti cognitivi e intellettuali per decodificare e capire gli avvenimenti intorno a sé.

È importante tenere presente che nei primi anni di vita il bambino è in una condizione di impotenza totale: è piccolo, alla mercé degli altri, non controlla i suoi movimenti, non conosce e capisce le parole, non è in grado di costruire espressioni di senso compiuto.

In questo periodo che potremmo definire critico, il bambino invia continue richieste di aiuto incondizionato. Da un lato il bambino deve rispondere a bisogni primari come il bisogno di evacuare, di fare pipì, la fame, l’esplorazione, l’espressione dei propri stati d’animo, l’eccitazione dei primi movimenti e la scoperta di nuove cose. Dall’altro i genitori chiedono più o meno costantemente di rinunciare a queste soddisfazioni primarie offrendo come ricompensa la propria approvazione. L’approvazione da parte dei genitori è per il bambino un mistero totale in quanto non è in grado di istituire alcun rapporto certo di causa ed effetto.

Non è sorprendente, quindi, che di fronte a questo frustrante processo di socializzazione in un contesto poco comprensibile lo stato d’animo prevalente sia di tipo negativo. In termini di analisi transazionale possiamo affermare che il bambino è in una posizione esistenziale “io non sono ok“. Questa condizione di non ok è registrata in modo indelebile nello Stato dell’Io Bambino ed è un residuo del passaggio attraverso l’infanzia. Il Bambino non ok è presente in ogni persona anche nei figli di genitori buoni, amorevoli, indulgenti e disponibili. Questa condizione di non ok non è tanto determinata dal comportamento dei genitori quanto dalla condizione infantile di impotenza e inferiorità. Se i figli di genitori “bravi” si portano comunque il peso del non ok non è difficile immaginare quale fardello di dinamiche negative possano esistere nei figli di genitori negligenti, abusanti, maltrattanti e narcisisti.

Le registrazioni dello Stato dell’Io Bambino, come quelle dello stato dell’Io Genitore, possono essere rievocate rapidamente in qualsiasi momento della vita e in ogni tipo di relazione e comunicazione. E se la situazione reale del qui ed ora ricrea una qualche situazione infantile susciterà gli stessi stati d’animo ed emozioni che furono provate allora. In tutte le condizioni in cui non c’è alternativa o ci troviamo con le spalle al muro o pensiamo di non riuscire a sopravvivere lo Stato non ok del bambino originario viene riattivato e vengono rivissute le stesse emozioni. Si tratta di una versione aggiornata della depressione primaria del bambino.

Fortunatamente lo Stato dell’Io Bambino contiene però anche registrazione di dati positivi e piacevoli. La creatività, la curiosità, il desiderio di esplorare e di sapere, il bisogno impellente di toccare, sentire e sperimentare vengono registrati come stati d’animo esaltanti e piacevoli. Nello Stato dell’Io Bambino vengono registrate tutte le prime meravigliose esperienze, tutte le prime volte della vita del bambino, tutte le avventure stupende ripetute più di una volta. Il dondolio ritmico della culla, la sensazione di una soffice coperta, le sensazioni favorevoli agli eventi positivi.; è il bambino felice e spensierato che rincorre le farfalle o la bambina col volto cosparso di Nutella.

In definitiva le persone emergono dall’infanzia con un bagaglio enorme di esperienze registrate nello Stato dell’Io Genitore e nello Stato dell’Io Bambino in modo incancellabile. È giusto quindi domandarsi quali speranze le persone hanno per cambiare e sganciarsi dal passato.

Foto di Senjuti Kundu su Unsplash

Lo Stato dell’Io Genitore

Lo Stato dell’Io Genitore

Lo Stato dell’Io Genitore è quella “parte di noi” che funziona utilizzando un insieme enorme di registrazioni di eventi esterni con cui l’individuo viene in contatto durante i primi cinque anni di vita cioè nella fase della vita che precede la nascita sociale della persona (l’ingresso a scuola). Qualsiasi evento esterno viene registrato nei nastri del cervello ma quelli più significativi sono determinati dall’esempio e dalle affermazioni dei genitori reali o dei loro sostituti. In pratica queste registrazioni contengono tutto ciò che il bambino ha visto fare o ha sentito da parte dei propri genitori.

I messaggi e i modelli genitoriali vengono registrati nello stato dell’Io Genitore in tempo reale e senza alcuna mediazione. Questo accade perché il bambino è totalmente dipendente, è incapace di elaborare significati tramite il linguaggio ed è quindi impossibilitato ad apportare modifiche, correzioni o spiegazioni sia ai modelli che ai messaggi che riceve dai genitori.

Nel Genitore sono registrate tutte le regole e le norme che il bambino ha ricevuto dai propri genitori e che ha visto mettere in pratica. A parte le primissime comunicazioni dei genitori, cioè nei primissimi giorni di vita, tutto viene interpretato in modo non verbale attraverso il tono della voce, l’espressione del volto, la presenza o meno di carezze. Successivamente quando il bambino  è in grado di comprendere il significato delle parole vengono registrate regole e norme verbali più elaborate.”Non dire mai bugie, paga sempre i tuoi debiti, un bravo ragazzo pulisce sempre il proprio piatto, non fidarti mai di una donna, non passare mai sotto una scala, fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te, frega per non essere fregato”

Tutti questi messaggi sono registrati come fossero la verità assoluta in quanto provenienti dalla fonte di ogni sicurezza e certezza per il bambino: i propri genitori, due giganti alti 2 metri in un periodo in cui il bambino alto poco più di mezzo metro ha tutto l’interesse ad essere buono ed ubbidiente.

Queste registrazioni sono permanenti e non cancellabili e pronte ad essere riascoltate e quindi utilizzate in ogni momento della vita. Inoltre le informazioni registrate nello stato dell’Io Genitore rappresentano un indispensabile strumento di sopravvivenza in quanto forniscono regole il cui obiettivo è appunto la sopravvivenza sia in senso fisico che sociale.

Quando il comportamento e le parole dei genitori sono in contraddizione le registrazioni vengono ignorate in quanto fonte di confusione. Il bambino non è in grado di mettere in discussione queste contraddizioni e quindi si difende non utilizzando la registrazione. Ad esempio se il genitore dice “le bugie non si dicono” ma poi mente oppure se il genitore dice “fumare fa male alla salute” e poi fuma.

Una metafora che descrive bene l’effetto delle registrazioni contraddittorie è quella della musica stereofonica. Nella registrazione del suono stereofonico ci sono due solchi che se  in armonia producono un effetto stupendo quando vengono ascoltati insieme; se invece non sono in armonia l’effetto è sgradevole ed è meglio non ascoltare quella registrazione.

Molte delle informazioni contenute nel genitore vanno a costituire la categoria del “come si fanno le cose“: come appendere un quadro, come fare il letto, come mangiare la minestra, come soffiarsi il naso eccetera. Il “come” si fanno le cose comprende una grandissima quantità di dati raccolti osservando i genitori. Si tratta in genere di dati molto utili che permettono al bambino di imparare a cavarsela da solo. Solo successivamente col crescere dello stato dell’Io Adulto e quindi della libertà di poter esaminare i dati del Genitore, queste informazioni sul “come” possono essere eventualmente aggiornate o sostituite con delle soluzioni migliori e più adatte alla realtà. Se le prime istruzioni registrate nel Genitore hanno caratteristiche di severità e perentorietà si possono incontrare maggiori difficoltà nell’esaminare il vecchio modo di compiere certe operazioni ed eventualmente di modificarle.

Se pensiamo che nel cervello di ogni persona sono registrate migliaia di queste semplici norme di vita ci possiamo rendere conto di quale enorme quantità di dati è registrata nel Genitore. Alcune di queste ingiunzioni sono rafforzate dall’aggiunta di imperativi quali ad esempio “mai”, “sempre” e “non dimenticare mai che..” 

I nastri del Genitore possono essere di aiuto o di intralcio a seconda che siano più o meno appropriati alla situazione reale oppure a seconda che siano stati o meno aggiornati da parte dell’Adulto.

I genitori fisici non sono le uniche sorgenti dei dati presenti nello stato dell’Io Genitore. Ad esempio un bambino di tre anni che trascorre molte ore del giorno davanti alla televisione registra ciò che vede e i programmi possono inculcare alcune concezioni di vita; in generale qualsiasi situazione esterna in cui il bambino si sente alla mercé degli altri fino al punto di non essere libero di dubitare o investigare produce informazioni che vengono registrate in modo indelebile nel genitore. 

Lo Stato dell’Io Genitore si arricchisce di nuove informazioni anche dopo i primi cinque anni di vita anche se in modo molto meno significativo a causa della presenza dello Stato dell’Io Adulto che è in grado di giudicare e valutare le informazioni che riceve e decidere se archiviarle o no.

Foto di Suzi Kim su Unsplash

L’angoscia abbandonica

L’angoscia abbandonica

Cercando nel vocabolario il significato del verbo abbandonare troviamo “Lasciare definitivamente” e anche “lasciare senza aiuto e senza protezione”. Entrambi i significati comportano quasi in automatico l’insorgere di una emozione spiacevole come paura o tristezza e relativa ansia/angoscia.

Il bambino che perde un genitore in modo definitivo e irreversibile, può facilmente pensare che sarà senza aiuto e senza protezione, si sentirà in pericolo, fisico e psicologico, e adotterà strategie per sopravvivere. E’ stato abbandonato. 

Per quel bambino sopravvivere fisicamente sarà probabilmente più facile che sopravvivere psicologicamentre cioè non essere sopraffatti e resi mal funzionanti dall’angoscia abbandonica che emergerà ogni qualvolta si ripropone, anche nella vita da adulti,  una situazione di potenziale e/o immaginario abbandono. 

Il bambino che è stato abbandonato è fisicamente sopravvissuto. Il Bambino con la B maiuscola, cioè lo stato dell’Io Bambino, come reagisce ogni qualvolta la vita adulta ripropone un contesto di abbandono come la morte, una partenza, una separazione ? L’antica angoscia ricompare e invade  il campo perchè è stata ampiamente “memorizzata” nell’archivio emotivo del cervello primordiale. 

L’archivio delle emozioni ha sede nella così detta archeopsiche, quella parte del cervello che esiste e funziona fin dai primi mesi di vita intrauterina (amigdala, ipotalamo, nuclei della base). Le connessioni del cervello antico con quello corticale e cosciente sono potenti e continue ma sfuggono quasi sempre al controllo e alla consapevolezza. Quando ci rendiamo conto del nostro stato emotivo nel “qui ed ora”, ad esempio ci accorgiamo di essere tristi o allegri, non ci è dato quasi mai sapere il vero motivo di quella emozione. Il “qui ed ora” è realmente allegro (o triste) ho ha semplicemente attivato gli archivi emotivi legati al “là ed allora” cioè al passato ? 

L’angoscia abbandonica è potente. A volte anche più dell’angoscia di morte. L’Adulto può aiutare il Bambino a decidere che può sopravvivere all’abbandono e che non rimarrà da solo. 

Photo by Jana Sabeth on Unsplash

Bambini abbandonati salvati dal cellulare

Bambini abbandonati salvati dal cellulare

Si parla in questi giorni della nuova legge che obbliga all’uso dei seggiolini auto anti-abbandono per bambini fino a 4 anni. Per l’Italia non ci sono dati certi ma sembra che la numerosità sia circa 20 casi di abbandono dal 1988 ad oggi (con conseguenze variabili)

Ancora una volta la tecnologia digitale corre in aiuto del fattore umano: se il bambino viene dimenticato sul seggiolino in auto, una App dedicata emette un allarme acustico e visivo (ma potrebbe anche dire qualcosa) su un cellulare (di un genitore presumo) collegato al seggiolino.  Che succede se nel frattempo il cellulare si è sconnesso per qualche motivo dal seggiolino oppure viene dimenticato in macchina insieme al bambino ? Vengono inviati SMS di allarme con posizione GPS dell’auto a 3 numeri pre-impostati (Nonni ? Polizia ? Telefono azzurro ?).

Come ho scritto da sempre, non potrei più fare a meno del mio cellulare e non sono un fautore di battaglie anti-digitali preconfezionate. Ma pretendere di gestire uno dei più gravi atti mancati che si possa immaginare (negare un figlio !) solo con una App è l’ennesimo triste segnale che l’uomo sta perdendosi definitivamente.  Va bene l’App ma smettiamola di dire e scrivere che “capita di dimenticarsi un figlio” come le chiavi di casa o il portafoglio.

Credo nel determinismo psichico e cerco sempre di leggere gli atti mancati (dimenticanze, lapsus, scambi, etc) come segnali “in codice” di una parte profonda della nostra psiche.

La lettura Analitico Transazionale ci permette di vedere cosa può accadere nelle parti inconsce della nostra psiche. A volte, il Bambino della mamma o del papà entra in sofferenza per la presenza del bambino vero e si attiva in vario modo inviando messaggi non verbali molto potenti come quello di Non Esistere, ad esempio. “Non esistere” è l’ingiunzione più potente che lo Stato dell’Io Bambino del genitore può inviare al bambino vero.

Quando dimentichiamo un figlio piccolo totalmente dipendente da noi lo neghiamo, agiamo come se non esistesse. Lo facciamo scomparire.

Non sono concetti difficili da capire, forse difficili da accettare: questo vedo costantemente nella mia attività di educatore.

Rendiamo obbligatori i seggiolini anti abbandono (non parlo delle mie fantasie sul business creato dall’obbligatorietà) ma parliamo ed educhiamo i genitori a:

  • riconoscere queste dinamiche psichiche
  • diamogli il permesso di accettare la sofferenza del loro Bambino
  • insegniamo loro a prendersene cura usando su se stessi il Genitore Affettivo

Photo by Brett Jordan on Unsplash

Gli amori cattivi cioè amore e odio nel narcisismo patologico

Gli amori cattivi cioè amore e odio nel narcisismo patologico

Perché a volte, direi spesso, le persone si “innamorano” di partner psicologicamente disagiati o decisamente affetti da narcisismo patologico ?

In queste situazioni è frequente sentir dire: “non riesco a resistere al suo fascino…” nonostante il partner sia inaffidabile e anaffettivo; questa attrazione irresistibile che vince su tutte le sofferenze e le frustrazioni sembra essere elemento essenziale per provare attrazione sessuale o mantenere vivo il desiderio o per accrescere il senso di onnipotenza. E’ il così detto fascino dell’amore che fugge.

Perché le persone hanno bisogno di riproporre relazioni malate e cercano partner anaffettivi, svalutanti, abusanti sia a livello psicologico che fisico ?

Chi cerca questa tipo di relazione è  spesso vittima di un’antica ferita abbandonica, quasi sempre inflitta da genitori narcisistici. La spinta inconsapevole è legata al desiderio inconscio di riparazione, un intento curativo: “io posso salvarti” e tanto più l’oggetto amato è inadeguato, sofferente, sfuggente, tanto più l’altro si ostina in modo cieco ed ossessivo a volerlo aiutare o comunque a tollerare i suoi comportamenti con l’inconsapevole aspettativa che arriverà la redenzione del partner e quindi l’eterna gratitudine.

Questo tipo di relazioni malate sono sbilanciate, con una parte nel ruolo di vittima e una nel ruolo di salvatore. Generalmente la vittima usa schemi masochistici e auto-distruttivi che le sono familiari; è qualcosa che si tramanda di generazione in generazione soprattutto quando si è abituati ad essere abusati psicologicamente. Il salvatore si rivela invece inaffidabile e manipolatore solo dopo che la persona è entrata in relazione con l’altro; infatti i narcisisti si mostrano come la donna o l’uomo ideale, per poi togliere la maschera quando sono certi di averlo/a conquistata. Tolta una maschera se ne indossa un’altra, ad esempio ci si scambia il ruolo con la vittima che diviene persecutore e il salvatore che diviene vittima.

I narcisisti sono dei simulatori raffinati e fingono su qualsiasi cosa: interesse, preoccupazione, amore, affidabilità, simpatia; sono dei predatori che si mimetizzano per confondersi con la natura e ingannare la preda. Alexander Lowen ( Il narcisismo, l’identità rinnegata, Feltrinelli, Bologna,1983), padre della bioenergetica, diceva che i narcisisti sono “simulatori per eccellenza”, poiché in realtà non posseggono una loro un’identità; la loro vera identità è stata rinnegata e non riconosciuta in tempi arcaici; vivono utilizzando un Falso Sé.

I partner narcisisti si incolpano a vicenda di non essere abbastanza presenti, abbastanza premurosi, abbastanza interessati; oppure si incolpano di chiedere eccessivamente in momenti per loro dolorosi; non è mai il momento giusto per ricevere o dare amore e qualsiasi tipo di preoccupazione (lavoro, malattia, etc) è buona per celare la loro incapacità di amare e per convincere il partner giorno dopo giorno che la colpa è sua.

Viviamo in una società narcisistica, basata su messaggi più o meno espliciti riguardo a successo, fama, felicità, potere mentre mancano i riferimenti alla morte, all’abbandono, alla perdita. E’ vietato essere fragili mentre mostrarsi forti e sicuri è indispensabile per poter essere riconosciuti. Per questo è spesso problematico determinare quali tratti indichino un disturbo di personalità narcisistico e quali tratti siano dei semplici adattamenti socio-culturali.

I narcisisti si comportano nelle relazioni come se vivessero con un nemico da controllare e gestire. Utilizzano la seduzione per invadere la sfera emotiva dell’altro rubando energia a tradimento e utilizzando ricatti affettivi. Il narcisista non vuole scoprire la sua ferita abbandonica e non vuole affrontare la sua rabbia primaria; la rabbia viene rivolta su se stesso oppure viene espressa nell’inconscio desiderio di distruggere quello che non riesce a essere.

Un bambino non è capace di disegnare come il suo amico e prova una profonda invidia; allora lo seduce mostrandosi amico e chiedendo di imparare a disegnare bene; subito dopo essere entrato in relazione, però, lo critica e lo distrugge proponendosi come superiore e migliore.

I giochi e il copione

I giochi e il copione

Tutto il mondo è un palcoscenico e tutti, uomini e donne non sono che attori. Hanno le loro entrate e le loro uscite; ciascuno nella sua vita recita diverse parti. (William Shakespeare)

I giochi psicologici

games people play

Eric Berne definisce così il gioco: “Il gioco psicologico è una serie di transazioni ulteriori ripetitive a cui fa seguito un colpo di scena con uno scambio di ruoli, un senso di confusione accompagnato da uno stato d’animo spiacevole come tornaconto finale, in termini di rinforzo di convinzioni negative su di sé, sugli altri, sul mondo”. Tradotto in parole ancora più semplici: Il gioco è un tipo di relazione interpersonale “disturbata”, che procura stati d’animo spiacevoli. Questa comunicazione “disturbata” non è volontaria e le persone coinvolte non ne hanno consapevolezza: per questo motivo lo stesso gioco tenderà a ripetersi più volte.

Perché le persone giocano? Quali sono i motivi per i quali si utilizza un modo relazionale di questo tipo? Si tratta del persistere di aspetti infantili (esperienze, decisioni di sopravvivenza) che permangono nell’adulto e che condizionano i comportamenti e le emozioni senza che se ne abbia coscienza.

Il copione di vita

a che gioco giochiamo

I nostri aspetti infantili ci portano ad organizzare un programma, un piano di vita in cui noi e gli altri hanno dei ruoli fissi compatibili con delle decisioni di sopravvivenza prese in epoche arcaiche. Come in tutte le storie, la storia della nostra vita ha un inizio, un punto di mezzo e una fine. Ha i suoi eroi, le sue eroine, i suoi cattivi, i suoi protagonisti e le sue comparse. Ha il suo tema principale e i suoi intrecci secondari. Può essere comica o tragica, mozzafiato o noiosa, fonte d’ispirazione o banale.Il problema consiste nel fatto che gli inizi del nostro copione sono al di fuori della portata della nostra memoria cosciente.

In “Principi di terapia di gruppo” Berne ha definito il copione «un piano di vita inconscio». Successivamente in “Ciao!… E poi ?” ne ha dato una definizione più completa: «Un piano di vita che si basa su di una decisione presa durante l’infanzia, rinforzata dai genitori, giustificata dagli avvenimenti successivi, e che culmina in una scelta decisiva».