Le relazioni tossiche

Le relazioni tossiche

Come tossicologo clinico e come psicoterapeuta parlare di relazioni tossiche è quasi eccitante perché consente di mettere insieme due discipline, due aree tematiche, la tossicologia e la psicologia, che sembrano, e per certi aspetti lo sono, distanti anni luce e senza punti in comune.

Quando un relazione di coppia diventa tossica ? Semplicemente quando intossica le parti o una delle parti. Quando, come nelle intossicazioni da veleni biologici o sintetici, si respira, si beve, si mangia, si tocca qualcosa che fa stare male, che provoca dolore, che stimola l’allontanamento o addirittura la fuga, che toglie l’aria, che mette in atto reazioni di sopravvivenza e di lotta. 

Non sopporti più come mangia e come mastica…non riesci a evitare espressioni quasi di schifo…

Non sopporti come guida, come si veste, come tiene i capelli e quindi spesso non trattieni la rabbia che ciò ti provoca. Non l* riconosci più…il tempo lascia segni e hai nostalgia di come era 15 anni fa. Il suo invecchiamento è uno sgradevole specchio in cui vedi il TUO invecchiamento ! E questo ti fa terribilmente arrabbiare. E sfoghi tutta la tua rabbia su l’altr*. Non ti va di tornare a casa e la sua tranquillità e calma ti fa arrabbiare ancora di più. Vuoi andare in vacanza per conto tuo. Sogni di incontrare un altra persona di cui innamorarti. Sembra che niente è rimasto del grande amore di 15 anni fa. Tanti momenti belli che sembrano andati persi. Questa è la tossicità delle relazioni in crisi. E vai avanti, sopporti, speri che passi, cerchi novità che possano dare ossigeno. Vorrei altro ma ci sono 2 figli piccoli o adolescenti……Vorrei altro ma abbiamo appena comprato casa e speso un sacco di soldi….Vorrei altro ma non riesco a pensare di ricominciare tutto da capo….vorrei altro ma l’idea di avere un amante non mi piace e so che non risolve. 

Poi un giorno senti che la tossicità è insopportabile, ti manca l’aria. Forse hai incontrato una persona che ti piace, che ti riconosce, che ti ispira. Forse la psicoterapia ha mosso qualcosa e ti ha illuminato verso la strada giusta. E allora trovi la forza di rompere, di parlare, di andare, di sognare, di vedere, di ascoltare, di riflettere e di decidere. Non hai la minima idea di quello che potrà succedere e non si ha nessuna certezza sulla bontà di quella decisione. Sai solo che non puoi andare avanti così perché potresti morire, sia psicologicamente che fisicamente. Ma il mondo la fuori dopo 15 anni è cambiato. Anche tu sei cambiat*. Che succederà ? Sicuramente la sindrome tossica lentamente si risolve perché il veleno relazionale era dovunque nelle persone e nei luoghi. E quando la tossicità è sparita forse hai occhi per vedere meglio e per sentire meglio. Ma soprattutto per capire meglio. 

Foto di Shayna “Bepple” Take su Unsplash

La Psicologia dell’Io: dai contenuti ai processi

La Psicologia dell’Io: dai contenuti ai processi

Nel 1923 Sigmund Freud pubblica l’Io e l’Es, testo fondamentale in cui introduce il modello strutturale e da inizio a una nuova fase di teoria psicologica in cui gli interessi si spostano dai contenuti inconsci alle modalità, cioè ai processi, con cui questi contenuti vengono sottratti alla consapevolezza.

Secondo Freud, la psiche può essere suddivisa in tre grandi macro settori: Es, Io e Super-Io.

L’Es è quella parte della psiche che contiene impulsi e pulsioni primitive e arcaiche cioè forse non razionali in cui si confondono e si sommano desideri, paure e fantasie. Naturalmente l’Es è completamente inconscio, non verbale (si esprime con immagini e simboli), prelogico, non hai concetti di tempo, mortalità e limite. Freud faceva quindi riferimento ad una modalità cognitiva primitiva che sopravvive nel linguaggio dei sogni, delle battute umoristiche e delle allucinazioni. Inoltre, si manifesta con dei derivati a volte di difficile comprensione in forma di pensieri, comportamenti ed emozioni.

L’Io contiene tutte le funzioni che consentono all’uomo di adattarsi alle necessità della vita con modalità accettabili all’interno della famiglia e della società; gestisce cioè gli impulsi incontrollati e primordiali dell’Es. L’Io è in continuo sviluppo ma acquista rapidamente forza soprattutto nell’infanzia a partire dalle prime fasi di vita; agisce secondo il principio di realtà e utilizza modalità cognitive sequenziali, logiche, orientate al qui ed ora. L’Io contiene anche parti inconsce come d’esempio i processi difensivi come la rimozione e lo spostamento. L’Io ha quindi il fondamentale ruolo di percepire la realtà e di adattarsi ad essa: l’Io è tanto più forte quanto più in grado di riconoscere la realtà, anche quando è molto spiacevole, senza utilizzare difese primitive. Ciò implica che la forza dell’Io, che parallela alla salute psicologica, implica la possibilità di utilizzare in modo sano difese mature e diversificate; un ulteriore conseguenza di questa considerazione è l’idea che la salute mentale è direttamente correlata al grado di flessibilità emotiva.

Il Super-Io è quella parte della psiche, cioè del Sé, che gestisce la persona soprattutto da un punto di vista morale. È quella parte di noi che si congratula quando facciamo le cose nel nostro meglio e critica quando deviamo dagli standard. Freud pensava che il Super-Io si formasse principalmente durante l’infanzia, e in particolare durante la fase edipica, attraverso l’identificazione con i valori dei genitori; oggi si pensa che abbia origini molto più precoci nelle nozioni infantili di bene e di male.

La “Centerfold” syndrome ossia la corazza della mascolinità

La “Centerfold” syndrome ossia la corazza della mascolinità

Sto leggendo con molto piacere l’ultimo libro di Michele novellino: “I pronipoti di Adamo”, sottotitolo: le radici dell’amore ambivalente dell’uomo per la donna.

 

Pronipoti di Adamo - Alessandro Barelli Psicoterapeuta - okness.it

A pagina 38 mi imbatto nella “Centerfold syndrome” e subito mi scatta la curiosità tipica del mio Bambino di sapere cos’è; Novellino inizia il paragrafo così: “Brooks nel 1995 ha studiato l’origine e la rilevanza sociale ancora attuale dei messaggi che conducono il maschio a costruire la propria identità sessuale e, di conseguenza, la propria concezione della femmina e della”natura” del rapporto sessuale.” A questo punto capisco il tema ma non capisco il termine inglese centerfold. Provo con Google translate ma non c’è traduzione in italiano del termine inglese. Un semplice modo per capire il significato delle parole inglesi non traducibili è quello di cercare il termine su Google selezionando immagini: provate a farlo e probabilmente rimarrete, come sono rimasto io, a bocca aperta. Cercando le immagini in rete connesse alla parola inglese centerfold si ottengono esclusivamente pagine di copertina e pagine centrali di riviste pornografiche per uomini come ad esempio la famosissima rivista Playboy. Se invece la maggior parte di voi non rimane a bocca aperta perché già conosceva il significato della parola, sono io ad avere un importante buco cognitivo. In ogni caso, riprendo le riflessioni di Novellino e ve le propongo.

La stretta aderenza ad un codice maschile applicato alla sessualità crea spesso un importante disturbo del comportamento degli uomini (intendo dire dei maschi) sia nella sfera sessuale sia nella sfera relazionale ed emozionale. Questi maschi sentono la necessità impellente di desiderare donne fisicamente attraenti cosa che superficialmente può essere giudicata naturale ma che in profondità denuncia un pregiudizio e un ordine interno che costringe il maschio a conquistare, a competere con altri maschi nell’ottenere un corpo femminile aderente a standard estetici codificati. Molto spesso le donne sono pesantemente condizionate e per sentirsi attraenti si adeguano a questi standard. La nostra cultura contemporanea sostiene questo modello ed esalta l’apparenza fisica. La conquista del corpo femminile è più importante delle relazioni, del rispetto, delle emozioni. I pregiudizi socio-culturali relativi alla disparità tra uomo e donna, sono un aspetto centrale nella storia di questi maschi.

La sindrome è caratterizzata da cinque elementi principali:

  1. il Voyeurismo cioè l’eccessiva importanza dell’osservazione del corpo dell’altro. Purtroppo i media, e la comunicazione digitale (Social e Web) promuovono un modello relazionale fortemente basato sull’apparenza fisica. La componente visiva delle relazioni sessuali e dell’erotismo si è accresciuta in modo ipertrofico nell’era moderna generando una vera e propria ossessione di guardare i corpi femminili.
  2. Oggettificazione: il corpo femminile è considerato un oggetto e alle donne viene trasmesso il messaggio che la bellezza fisica è il mezzo più importante e irrinunciabile per essere riconosciute socialmente, per avere potere e libertà personale. E’ l’ossessione per l’apparenza e le donne perdono la loro vera personalità con maschi che investono in maniera feticistica su parti del corpo della donna.
  3. Bisogno di conferma: molti uomini vedono la sessualità come unico mezzo per confermare la propria virilità. Allo stesso tempo questi maschi ricercano in modo ossessivo evidenze oggettive del piacere femminile in quanto ciò fornisce una prova concreta della loro mascolinità; in qualche modo quindi il corpo della donna diviene un indicatore della adeguatezza maschile e i maschi diventano schiavi della sessualità non relazionale.
  4. Ricerca del trofeo: il corpo della donna è un trofeo da conquistare e da mostrare in quanto è la prova della propria adeguatezza e superiorità rispetto agli altri maschi
  5. Paura dell’intimità cioè un comportamento sessuale distaccato, in cui il maschio ha paura ad instaurare un contatto emotivo con l’altro diverso da sé. L’emotività è considerata una caratteristica femminile e i maschi vengono educati a nascondere debolezze e vulnerabilità. L’origine psicoemotiva di questa paura va ricercata nella pressione cui sono sottoposti i bambini a distanziarsi precocemente dal corpo della madre: questo genera un conflitto e un’impasse perenne con il corpo della donna, uno scontro costante tra il naturale bisogno di accudimento e la paura di essere umiliati. Questa paura dell’intimità ha quindi origine dalle relazioni emotive disfunzionali tra genitori e figli, che può essere definito come attaccamento disfunzionale.

I giovani maschi affetti dalla centerfold syndrome sono convinti che la virilità e strettamente dipendente dal numero di donne con cui si sono avuti rapporti sessuali; l’aggressività e la competitività sessuale dominano sulle relazioni intime, sull’empatia, sulle capacità di supportare gli altri. Alla fine questo tipo di sessualità aggressiva e dominante soffoca e sostituisce i bisogni profondi e veri. Ma il problema maggiore nasce dal fatto che molti adolescenti maschi, a livello inconscio, si sentono inadeguati e impotenti e sviluppano una forte rabbia per questo potere che le donne attribuiscono nel convalidare la propria mascolinità. Si tratta purtroppo di un disturbo narcisistico di personalità: il trofeo in realtà non gratifica e lascia delusi con la passione sostituita dalla vendetta.

Dal punto di vista psicodinamico è la riproduzione del rapporto antico con una madre seduttiva e abbandonica. Poiché ci si è distaccati precocemente dalla madre si rimane nella perenne impasse tra attrazione e paura. Questo bisogno irrisolto può essere mascherato e negato solo usando la corazza della mascolinità: si mostrano i muscoli, veri o simbolici, si negano le debolezze e si nascondono le fragilità. Se cerco di spingere una palla sotto il pelo dell’acqua, più la spinta sarà forte più la palla tenderà a rimbalzare verso l’alto e a colpirmi il viso !

Photo by Henry Hustava on Unsplash

Le “carezze” cioè la fame di  stimoli affettivi e sociali

Le “carezze” cioè la fame di stimoli affettivi e sociali

L’uomo ha bisogno di stimolazioni fin dalla nascita: i neonati che non ricevono stimolazioni fisiche vanno incontro a deterioramento fisico, a malattie e anche alla morte. Negli anni 40 René Spitz descrisse l’importanza delle stimolazioni per la sopravvivenza dell’uomo sottolineando come l’assenza di stimoli nei neonati degli orfanotrofi producesse danni irreversibili sia sullo sviluppo del corpo che su quello della mente. Eric Berne affermava che la mancanza di stimoli emotivi e sensoriali produce un effetto a catena che può culminare nella morte; cioè, per la sopravvivenza dell’uomo la fame di stimoli ha la stessa importanza della fame di cibo.

La fame di stimoli è così importante che è preferibile una stimolazione spiacevole rispetto all’assenza completa di stimoli. Quindi l’uomo per sopravvivere deve soddisfare sia i bisogni fisici (fame, sete, freddo, etc) sia quelli socio-affettivi.

Qualsiasi atto che comporti il riconoscimento della presenza dell’altro è definito nel modello teorico dell’analisi transazionale come carezza. Nei primi mesi di vita il bambino ha una grande fame di carezze soprattutto fisiche senza le quali può ammalarsi e morire. In condizioni di normalità il bambino crescendo aggiunge alle carezze fisiche quelle sensoriali e di riconoscimento e in questo processo evolutivo l’ambiente, costituito principalmente dai genitori, ricopre un ruolo fondamentale. Se l’ambiente sarà disposto ad accogliere i bisogni del bambino con una risposta adeguata, il bambino imparerà a riconoscere questi bisogni, ad esprimerli liberamente e a far si che possano essere soddisfatti. Se invece l’ambiente svaluterà questi bisogni , squalificandoli, sminuendoli e non dando risposta, il bambino imparerà a reprimere i bisogni o a esprimerli in modo distorto.

Le carezze che si ricevono dai genitori quindi, cioè le risposte che i genitori forniscono alle richieste di soddisfazione dei bisogni del bambino, costituiscono un potentissimo strumento di riconoscimento e quindi di rinforzo positivo o negativo delle strutture di personalità che si formano nei primi anni di vita. Le carezze possono essere metaforicamente paragonate ai nutrienti essenziali (ad esempio le vitamine) la cui presenza o assenza determina l’evoluzione e la crescita nella struttura della persona.

Se l’ambiente, cioè i genitori, è più favorevole a fornire carezze negative rispetto a quelle positive, il bambino si accontenterà delle prime e userà i comportamenti utili per riceverle. Ad esempio, un bambino che si sente ignorato e percepisce le attenzioni dei genitori solo quando combina qualche guaio, per essere riconosciuto, anche se attraverso carezze negative, impara a combinare guai e in questo modo soddisfa la sua fame di riconoscimento. Lo stesso può accadere se l’unico modo per essere accuditi è ammalarsi: si impara ad utilizzare le malattie come strumento per ottenere riconoscimento e affetto.

Durante lo sviluppo psico-evolutivo il bambino modifica, integra e aumenta il suo bisogno di carezze passando dalle carezze incondizionate (cioè per l’essere) e prevalentemente fisiche a quelle condizionate (cioè per il fare) e verbali che siano in grado di riconoscere le sue capacità e il funzionamento del suo pensiero all’inizio solo intuitivo ed analogico ma successivamente logico e razionale.

In qualsiasi momento evolutivo le carezze incondizionate sull’essere sono un’esigenza primaria. Le carezze incondizionate sono rivolte a caratteristiche naturali della persona che non deve fare nulla per riceverle cioè sono dirette ad attributi naturali che non possono essere acquisiti (maschio, alto, bruno, bello, con gli occhi chiari, etc). Poiché le persone non hanno scelte riguarda questi attributi, le carezze incondizionate vengono vissute in maniera molto intensa.

Tuttavia la maggior parte delle carezze sono dirette al fare e sono condizionate dal comportamento delle persone. Le carezze condizionate, sia positive che negative, sono spesso utilizzate per influenzare le azioni delle persone e per fornire riscontro. Quando vengono utilizzate in modo appropriato e coerente, le carezze condizionate sono un potente strumento con cui le persone sane e adeguate apprendono nuovi comportamenti.

Le persone cercano carezze con modalità diverse; quantitativamente, probabilmente il bisogno di carezze è uguale per tutti. Esistono differenze legate ai tratti di personalità e differenze legate ai livelli esistenti di benessere economico, alle abitudini culturali ed educative. L’educazione da parte dei genitori ha un effetto determinante sulle modalità con cui le persone cercheranno carezze nella loro vita. Io sono ok-tu sei ok implica che nessuno è inferiore, che tutti hanno diritto ad avere un trattamento pari ad ogni altro e a vedere soddisfatte le proprie esigenze, incluso il bisogno innato di carezze. Purtroppo questo non avviene sempre. La maggior parte delle persone si comportano come se le carezze fossero un bene raro e quindi come se gli altri fossero dei concorrenti o dei nemici che causano una restrizione nella disponibilità di carezze. Quando la disponibilità di carezze è limitata, l’uomo mette in atto delle strategie particolari per gestire il suo patrimonio di carezze in modo da essere sempre nelle condizioni di soddisfare il proprio bisogno di stimoli.

Oltre agli stimoli che giungono dalle altre persone e dal mondo esterno (Carezze esterne) le persone possono accarezzarsi anche con i ricordi, con le fantasie o con una sensazione interna (Carezze interne). Le carezze interne svolgono la stessa funzione di allentamento della tensione, di allontanamento da situazioni percepite come pericolose e di mantenimento dell’equilibrio interno. Si ricorre alle carezze interne ogni qualvolta la realtà, o la nostra percezione di essa, ci propone una carenza di carezze esterne.

Le carezze negative sono molto più potenti di quelle positive: basti pensare che si può urlare e dare sfogo alla rabbia gridando e pestando i piedi con forza mentre l’amore non può essere espresso con altrettanta forza. A questo si aggiunge il fatto che l’uomo è psicologicamente strutturato in modo tale che le carezze negative hanno un impatto più forte. Ciò è legato al nostro istinto di sopravvivenza che prevede una reazione agli stimoli negativi più potente rispetto alla reazione agli stimoli positivi.

Capire, prevenire e cambiare i comportamenti con l’analisi delle transazioni

Capire, prevenire e cambiare i comportamenti con l’analisi delle transazioni

L’analisi transazionale è una teoria della personalità, una metodologia per analizzare il comportamento delle persone e un tipo di psicoterapia.

Il termine ”analisi transazionale” deriva dall’aspetto centrale di questa impalcatura teorica, cioè l’analisi delle transazioni che possono essere definite come gli scambi relazionali tra le persone, cioè le manifestazioni esterne del rapporto sociale. Eric Berne definì la transazione come ”l’unità del rapporto sociale” e la indicò come uno scambio di carezze tra due persone in cui una ha funzione di stimolo mentre l’altra di risposta. Va chiarito che il termine carezza, generalmente inteso nel senso di un intimo contatto fisico, è qui riferito a qualunque atto che comporti il riconoscimento della presenza di un’altra persona. In questo senso le carezze sono l’unità fondamentale del rapporto sociale. Una conversazione, quindi, è costituita da una serie di transazioni collegate tra loro.

Attraverso l’analisi delle transazioni è possibile capire come funzionano le persone, prevenire comportamenti disfunzionali e indurre cambiamenti. Le persone infatti esprimono le proprie convinzioni su se stesse, sugli altri e sulla realtà attraverso il comportamento e la comunicazione.

Le transazioni si svolgono tipicamente a catena: parte uno stimolo che sollecita una risposta che a sua volta diventa uno stimolo di ritorno. Sia lo stimolo che la risposta possono essere sia comunicazioni (verbali e non verbali) oppure comportamenti.

Stimolo/risposta AT - Alessandro Barelli Psicoterapeuta - okness.it

 

Quando si inizia una transazione o si risponde uno stimolo che proviene da un’altra persona, esistono varie opzioni relativamente agli Stati dell’Io che vengono utilizzati da chi trasmette lo stimolo e da chi lo riceve.Lo stimolo è generato da un determinato stato dell’Io di chi trasmette e provocherà la risposta di uno dei tre stati dell’Io di chi riceve. Tanto più persona e sana tanto più può utilizzare liberamente i propri stati dell’Io e scegliere il tipo di transazione. In realtà, sia lo stimolo che la risposta possono provenire da due Stati dell’Io nel caso in cui il messaggio che viene inviato contenga sia una componente esplicita-sociale che una componente ulteriore/ psicologica. (vedi avanti transazioni ulteriori)

Stimolo/risposta AT - Alessandro Barelli Psicoterapeuta - okness.it

La rappresentazione grafica delle transazioni prevede dei semplici vettori con linea continua (messaggi sociali) o tratteggiata (messaggi psicologici)

Stimolo/risposta AT - Alessandro Barelli Psicoterapeuta - okness.it

La direzione dei vettori e il numero di stati dell’Io coinvolti nella transazione determinano tre tipologie principali di transazione.
1.Transazioni complementari: i vettori di stimolo e risposta sono paralleli e provengono da stati dell’Io uguali o complementari; le caratteristiche delle transazioni complementari sono tre:

  1. la risposta deriva dallo stesso stato dell’Io a cui lo stimolo è stato diretto
  2. la risposta torna allo stesso stato dell’Io che ha fatto partire lo stimolo
  3. il livello verbale/sociale/esplicito del messaggio è congruente con quello non verbale/psicologico/implicito

Ecco alcuni esempi:

Transazione complementare - Alessandro Barelli Psicoterapeuta - okness.it

Stimolo: richiesta di dati reali – Risposta:  invio di dati reali

Transazione complementare - Alessandro Barelli Psicoterapeuta - okness.it

Stimolo: Emozione spiacevole (paura) – Risposta: giudizio critico

Transazione complementare - Alessandro Barelli Psicoterapeuta - okness.it

Stimolo: emozione piacevole (gioia) – Risposta:  emozioni piacevole (gioia)

Nelle transazioni complementari spesso la risposta è soddisfacente poiché proviene dallo stesso stato dell’Io da cui è partito lo stimolo o da uno stato dell’Io complementare; questa “soddisfazione” nella transazione fa sì che essa possa teoricamente prolungarsi con la ripetizione di stimoli e risposte complementari. Si intende qui per soddisfazione una condizione di appagamento di aspettative sia piacevoli che spiacevoli, in assenza di incognite e reazioni poco conosciute. In altre parole: le persone si scambiano “carezze”, sia positive che negative, ottenendo rinforzi e conferme, sia positivi che negativi. 1^ regola della comunicazione: nelle transazioni complementari lo scambio può teoricamente prolungarsi all’infinito.

2.Transazioni incrociate: la risposta proviene da uno stato dell’Io diverso da quello sollecitato e sono coinvolti più Stati dell’Io; conseguentemente i vettori si incrociano. Ecco alcuni esempi:

Transazione incrociata - Alessandro Barelli Psicoterapeuta - okness.it

Stimolo: Giudizio critico negativo – Risposta:  analisi di realtà

Transazione incrociata - Alessandro Barelli Psicoterapeuta - okness.it

Stimolo: richiesta di dati – Risposta:  Giudizio critico negativo

Nelle transazioni incrociate la “soddisfazione” delle parti non si realizza in quanto la risposta proviene da uno stato dell’Io diverso e non complementare: le aspettative non vengono rispettate, succede qualcosa di non previsto e sconosciuto; questo fa sì che la transazione tende a concludersi e la comunicazione a interrompersi. Questa caratteristica delle transazioni incrociate può essere utilizzata in modo volontario quando si intende interrompere una comunicazione disfunzionale e non piacevole. 2^ regola della comunicazione: nelle transazioni incrociate lo scambio tende a interrompersi e/o inizia una comunicazione su qualcosa di diverso.

3. Transazioni ulteriori: contengono un doppio messaggio: quello sociale, esplicito e quello psicologico, non esplicito non congruenti. Il messaggio sociale è ciò che la persona apparentemente sta comunicando mentre quello psicologico è ciò che la persona vuole comunicare in modo sottinteso e spesso non consapevole. La componente psicologica è generalmente veicolata utilizzando gli aspetti non verbali della comunicazione e/o comportamenti. Ecco alcuni esempi:

Transazione ulteriore - Alessandro Barelli Psicoterapeuta - okness.it

Apparente domanda su dati reali con implicito (nascosto) tentativo di convincere

Transazione ulteriore - Alessandro Barelli Psicoterapeuta - okness.it

Apparente domanda su dati reali con implicito (nascosto) giudizio critico negativo

Nelle transazioni ulteriori si evidenzia la 3^ regola della comunicazione: quando il messaggio sociale e quello ulteriore non coincidono l’esito della transazione è  determinato dalla componente psicologica implicita a causa della maggiore potenza della comunicazione non verbale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo shock del corpo e della mente

Lo shock del corpo e della mente

Che cosa succede nella nostra mente quando si viene esposti ad uno shock ? Ad esempio, quando si subisce l’insorgenza improvvisa di una malattia grave in grado di mettere in pericolo la nostra vita ? Per capire questo proviamo ad immaginare la psiche come fosse una persona fisica e utilizziamo la suggestione di un famoso quadro, l’Urlo di Munch

Nel quadro appare evidente il terrore, il viso, l’espressione…ha visto qualcosa di orribile forse di indicibile, si copre le orecchie con le mani come se volesse evitare di sentire. Altro elemento è l’angoscia del vuoto: di fronte ad una continuità di vita stabile, ordinata, quella che tutti noi viviamo e cerchiamo di vivere il più a lungo possibile, improvvisamente dietro a questa persona c’è il vuoto, una discontinuità che le altre persone non condividono continuando a percorrere il loro sentiero stabile. Il terzo elemento è il profondo e doloroso senso di isolamento dagli altri.

Quando la psiche viene traumaticamente aggredita si verificano almeno tre fenomeni psicodinamici che distinguiamo per motivi di spiegazione ma che sono facce della stessa medaglia:

  1. la ferita narcisistica, cioè un vissuto di grave menomazione dell’integrità dell’Io. La persona si trova staccata dagli altri e dal proprio senso di continuità con se stesso; anche questo concetto è visivamente presente nell’Urlo di Munch.
  2. la regressione psichica, cioè necessità di irrigidire le proprie difese psichiche allo scopo di evitare l’angoscia che altrimenti risulterebbe terrorizzante. Ci si sente di nuovo bambini, spaventati, dipendenti dagli altri, incerti, insicuri
  3. Negazione del cambiamento di vita drammatico e non voluto a cui si è stati esposti con cronicizzazione delle difese psichiche

La psiche è ad un bivio: o trova nell’ambiente nuove risorse o la cronicizzazione delle difese può determinare uno stato stabile di malessere/malattia psichica con coinvolgimento dell’ambiente circostante,  in primis la famiglia. Ricordo che le difese psichiche sono delle misure che mettiamo in atto per far fronte alla realtà specialmente quando è necessario adattarsi a qualcosa di nuovo soprattutto se imprevisto e negativo.

Le difese possono variare in relazione a diversi profili di personalità.

Nelle personalità ossessive le difese sono il controllo e la razionalizzazione; queste persone tenderanno quindi a pensare di fare tutto da soli, “ora ci penso io” con un tentativo di controllo e di dominanza su quello che sta accadendo.

Le personalità fobico-evitante penseranno che quello che è successo è troppo per me, non posso fare niente, pensateci voi; negano quello che è successo per avere dall’ambiente un supporto che pensano di non poter trovare in se stessi. Negazione e dipendenza.

La personalità paranoidea esaspera le difese tipiche che utilizza: il sospetto e il controllo. In altre parole pensano: “mi è successa una cosa talmente brutta e drammatica che c’è qualcosa che non va, deve essere colpa di qualcuno, ci deve essere un complotto contro di me”; in ambito sanitario quel qualcun altro che ha sbagliato può essere facilmente ritrovato in un sanitario.

La personalità depressiva invece si rifugia nel senso di colpa e nell’isolamento, deve essere colpa mia, la conseguenza di tutte gli sbagli che il depresso tende a vedere in se.

Nel sostenere questi pazienti è importante e fondamentale un modello di intervento psicologico che può essere suddiviso in tre livelli:

il sostegno individuale al paziente mediante il counselling, la psicoterapia, i gruppi di auto-aiuto e le tecniche familiari con l’obiettivo di aiutare il paziente ad accettare un drastico cambiamento di vita che ha costretto la vittima ad irrigidire i propri meccanismi di difesa.

Il sostegno alla rete familiare che è coinvolta nello shock emotivo ed è chiamata ad aiutare attivamente. Aiutare ad accettare il cambiamento del loro familiare ed essere sostenuti nel fornire l’aiuto al paziente.

Il sostegno formativo alla rete degli operatori con lo scopo di prevenire il burn-out degli operatori e di aiutare nello gestire la comunicazione con il paziente e la rete familiare.

Psicoterapia : domande, risposte e pregiudizi

Psicoterapia : domande, risposte e pregiudizi

Da cosa derivano le difficoltà di orientamento e comprensione su argomenti che riguardano la salute mentale ?

Michele Novellino, mio maestro e supervisore, sentì il bisogno, quasi 20 anni fa, di pubblicare un volume dal titolo “Scegliere lo psicoterapeuta, come e quando”, una vera e propria guida/bussola per orientarsi nel mondo che inizia con “psi”. Cito testualmente un brano tratto dal capitolo 1, quello introduttivo:

“un pomeriggio mi trovo ricevere una coppia di genitori che accompagnano il figlioletto di una decina d’anni. I due sono preoccupati per alcuni comportamenti del figlio; la visita mi dimostra ben presto che si tratta di una situazione di ansia dovuta a una difficoltà della coppia a trovare un’armonia più generale, e questo anche nell’educazione del figlio. Stranamente ma non troppo il primo spunto circa l’assoluta normalità del figlio mi viene proprio da un riferimento di quest’ultimo alla mia presenza. Dopo pochi minuti, il ragazzino mi chiede con tono diretto e lievemente risentito: “ma tu sei uno strizzacervelli ?”, Rispondo di sì, e di rimando chiedo come l’avesse compreso (Il lettore avrà intuito che i genitori avevano raccontato che ero un amico); la risposta arriva pronta: “ho visto uno che faceva le tue stesse domande,nella puntata di …..”(e nomina un certo telefilm di gran successo tra i giovani).”

Questo episodio mette in luce che la psicoterapia, scienza e professione giovane rispetto ad altre più antiche, risente molto dell’immagine che è stata prodotta attraverso i moderni canali di comunicazione e conoscenza come ad esempio giornali televisione e rete. Purtroppo il risultato è che spesso vengono mescolati nella stessa pentola professionisti seri e venditori di fumo, scienziati di vecchia data e ipnotizzatori da baraccone. Questo ha causato un’immagine assolutamente approssimativa di una professione che richiede competenza ed etica e di cui le persone hanno un gran bisogno

Psicoanalisi e psicoterapia sono la stessa cosa ?

SIgmund Freud, medico, neurologo e psicanalista, ideatore e fondatore della psicoanalisi, aprì la strada alla moderna psicologia e all’idea che corpo e mente sono intimamente legati, si condizionano a vicenda, e hanno delle parti di cui non si ha consapevolezza, cioè incoscienti.

Come sostiene Michele Novellino, senza di lui non esisterebbe la moderna psicologia e psichiatria e noi (psicoterapeuti, psicologi, psichiatri) non saremmo qui.

Ma molto tempo è passato e molte delle idee di Freud non si sono dimostrate corrette e reali, cosa facilmente comprensibile considerando i tempi che viveva.

Ma ancora oggi le parole che iniziano con “psi” portano molte persone a pensare a Freud e alla psicoanalisi, concetti spesso associati all’idea di malattia mentale, di follia.

La psicoanalisi è tuttora una disciplina psicoterapeutica praticata e diffusa e è una piccola fetta dell’ampia offerta di trattamenti psicoterapici disponibili. Quindi: psicoterapia e psicoanalisi non sono sinonimi.

Psicoterapia: CURA DELLE CONDIZIONI DI DISAGIO EMOTIVO E RELAZIONALE ATTRAVERSO UNA RELAZIONE D’AIUTO “GUIDATA” DA UN PROFESSIONISTA ABILITATO (modificato da Novellino, Scegliere lo psicoterapeuta, come e quando, Franco Angeli/Le comete)

Psicoanalisi: un procedimento per l’indagine dei processi psichici cui altrimenti sarebbe impossibile accedere; un metodo terapeutico basato su tale indagine per il trattamento dei disturbi nevrotici. Si tratta in pratica di rendere cosciente l’inconscio con un’analisi, guidata dall’analista, con cui è possibile dare significato a quanto regola la condotta e il comportamento dell’uomo.

Che differenza c’è tra psicologi, psichiatri e psicoterapeuti ?

Psicologia, psicoterapia, psichiatria….parole usate spesso in modo indiscriminato e interscambiabile: sono la stessa cosa ?

La psichiatria è una branca specialistica della medicina che si occupa dei disturbi mentali e del  mantenimento e il perseguimento della salute mentale; ciò viene ottenuto con strumenti medico-farmacologici, neurologici, psicologici, sociologici, giuridici, politici. La psichiatria è sovente maggiormente orientata verso l’identificazione del disturbo mentale o psicologico come derivante da un funzionamento anomalo a livello fisiologico del sistema nervoso centrale seguendo una prassi od ottica strettamente scientifico-materialista.

Gli psichiatri sono medici (specialisti in psichiatria, appunto !) possono prescrivere farmaci e praticare la psicoterapia cui sono abilitati “d’ufficio” dalla specializzazione.  Questa abilitazione “di ufficio” solleva dubbi e merita qualche considerazione. Esaminando i piani didattici delle scuole di specializzazione in psichiatria appare evidente che pochi crediti formativi sono dedicati alle tecniche di psicoterapia nel corso dei cinque anni di durata della scuola. (ad esempio 40-50 crediti su un totale di 300 crediti nei cinque anni); ci si può chiedere cioè a cosa servono quattro anni di di specializzazione in psicoterapia se gli psichiatri acquisiscono le competenze di psicoterapeuta in meno di un anno.

La psicoterapia è definibile come la terapia dei disturbi psichici basata sulla parola e sulla relazione tra terapeuta e paziente/cliente. E’ una specializzazione cui possono accedere sia i medici che gli psicologi; quindi, uno psicoterapeuta può essere un medico o uno psicologo. I medici psicoterapeuti possono prescrivere farmaci, gli psicologi psicoterapeuti no.

La psicologia è la disciplina che studia i processi psichici, mentali e cognitivi nelle loro componenti consce e inconsce. E’ una laurea quinquennale che conferisce, appunto, il titolo di psicologo.

Secondo l’articolo 1 della legge 56/89, La professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito. Quindi, per legge, lo psicologo può fare: prevenzione, diagnosi, abilitazione-riabilitazione, sostegno, sperimentazione, ricerca, didattica sia rivolte al singolo, al gruppo, fino alla comunità intera.

Lo psicologo, privo della specializzazione in psicoterapia, non è abilitato alla psicoterapia.

Psicoterapeuta: chi può definirsi tale ?

Psicoterapeuta è chi, in possesso della iscrizione all’albo dei medici o degli psicologi ha conseguito il diploma di specializzazione quadriennale in psicoterapia. Oltre a questa definizione formale e istituzionale possiamo proporre una definizione più strettamente professionale e di competenze: psicoterapeuta è chi si dedica al trattamento, alla cura, alla presente carico di persone che soffrono di disturbi, conflitti, problematiche di natura psicologica. L’oggetto del suo lavoro è la mente ed è oggettivamente molto difficile definire un territorio di intervento: non c’è un organo su cui si accentri l’attenzione dello psicoterapeuta mentre egli interviene sul comportamento, sui vissuti, sulle fantasie, in altri termini su quello che viene chiamato” il mondo interiore” dell’uomo.

Gli psicoterapeuti cercano di aiutare le persone a capire come hanno organizzato il loro mondo interiore; per far questo essi hanno bisogno di una buona conoscenza che padronanza di loro stessi: non si può aiutare a conoscere se non si è passati attraverso l’autoconoscenza

Psicoanalista: chi può definirsi tale ?

Si tratta di un termine abusato ed equivocato sia in buona che cattiva fede: psicoanalista non è chiunque si occupi della psiche, bensì colui o colei specializzato nell’applicazione del metodo psicanalitico costruito da Freud e che è iscritto a qualcuna delle associazioni psicoanalitiche riconosciute dai movimenti internazionali legati a Freud. In Italia esistono due associazioni riconosciute: la storica Società Psicoanalitica Italiana (http://www.spiweb.ite l’Associazione Italiana di Psicoanalisi (http://www.aipsi.it) Vengono considerati psicoanalisti anche gli affiliati al movimento junghiano, anche se quest’ultimo si rifà ad una teoria definita da Jung stesso come “psicologia analitica” proprio per differenziarla dalla psicoanalisi freudiana.

In cosa consiste la psicoterapia ?

La psicoterapia consiste nella cura delle condizioni di forte disagio emotivo e relazionale; la cura avviene attraverso una relazione d’aiuto guidata secondo scienza e coscienza da un professionista abilitato.

Da questa definizione nasce il bisogno di analizzare in dettaglio alcune parole e frasi.

Cura: la psicoterapia, pur non utilizzando farmaci e trattamenti invasivi, è un intervento di natura medica, il che non vuole dire che deve essere effettuata necessariamente da laureati in medicina e chirurgia. Significa che i professionisti che svolgono la psicoterapia, medici o psicologi che siano, hanno le stesse responsabilità di un medico che prescrive farmaci e fa diagnosi. Il che equivale a dire che l’utente è un paziente a tutti gli effetti: vuole essere aiutato perché il suo stato di salute è alterato. Quindi lo psicoterapeuta, anche se non è un medico come titolo, ha le stesse responsabilità e le stesse funzioni di un medico specialista, ossia quelle di aiutare i pazienti che si rivolgono a lui per recuperare il proprio stato di salute.

Relazione d’aiuto guidata secondo scienza e coscienza: lo psicoterapeuta offre la possibilità di affrontare i propri problemi in quanto è fornito della competenza specifica acquisita durante la specializzazione in cui ha maturato sia gli aspetti tecnici che quelli deontologici della sua professione.

Disagio emotivo e relazionale: la psicoterapia interviene in due grandi categorie di situazioni. Nella prima il paziente soffre di emozioni spiacevoli che determinano un senso di infelicità e ne limitano i comportamenti. Tali stati emotivi spesso sono cronici, incontrollabili e rendono difficili le normali interazioni con l’ambiente circostante. In genere i pazienti non riescono a dare un senso a tali stati e arrivano alla sensazione di essere totalmente incapaci di affrontare da soli le situazioni. Nella seconda condizione l’individuo accusa persistenti e ripetitive situazioni relazionali insoddisfacenti e limitative: solitudine, tendenza agli abbandoni, emarginazione, difficoltà ad accettare rapporti ineliminabili (figli, figure autoritarie).

Professionista abilitato: la psicoterapia è una professione a tutti gli effetti; allo stesso tempo per poter esercitare sono senza dubbio indispensabili alcuni aspetti umani particolari come interesse per gli altri, desiderio di aiutare, curiosità per l’animo umano. Queste doti devono essere affinate e sostanziate da capacità tecniche attraverso la specializzazione e attraverso il tirocinio pratico. Nelle doti umane che abbiamo ricordato si inseriscono problematiche personali che devono essere coscienti e devono essere controllate: chi vuole aiutare gli altri a conoscersi deve prima di tutto conoscere se stesso e le motivazioni che lo hanno portato ad aiutare gli altri. Per un medico o per un avvocato non è sempre necessario sapere le motivazioni profonde che lo spingono a svolgere una professione di tipo umanitario: ad esempio un chirurgo può essere un ottimo operatore anche senza conoscere i propri impulsi sadici o aggressivi, anzi molto spesso è meglio che non lo sappia ! Lo psicoterapeuta utilizza se stesso per aiutare gli altri: quindi lo strumento della relazione d’aiuto è la mente del terapeuta e quindi si deve conoscere bene cosa accade dentro se stessi per saper guidare l’altro. Essere abilitati significa aver imparato la disciplina fino al punto che gli insegnanti e i tutor ritengono sufficiente. I corsi di specializzazione devono essere completati fino alla certificazione finale che non è una garanzia in assoluto ma fornisce un criterio sulla disponibilità del professionista a svolgere quanto viene dichiarato necessario da colleghi più esperti affinché possa affrontare i problemi del paziente con serietà, competenza e deontologia.