Tipi di psicoterapia

Tipi di psicoterapia

La Psicoterapia, intesa come terapia dei disturbi e del malessere della persona di origine psichica, cura attraverso la parola e la relazione. Per raggiungere questo scopo possono essere utilizzate varie metodologie e tecniche basate su teorie diverse. 

Esiste molta disinformazione su questi argomenti ed è invece importante capire differenze e analogie tra tipi di psicoterapia

Segue la descrizione di alcuni tipi (ne esistono altri) molto usati e storici.

La Psicoanalisi Freudiana

La psicoanalisi è una delle scienze che si sono via via differenziate dal corpus generale dello studio scientifico della mente. La sua differenziazione è avvenuta a cavallo tra gli ultimi due secoli ad opera di Sigmund Freud e può essere considerata precoce e distinta rispetto ad altre scienze psicologiche. E importante distinguere tra teoria e metodo in quanto la psicoanalisi non è la teoria elaborata da Freud per curare pazienti con disturbi psichici bensì un metodo. Si può dire che Freud sta alla psicoanalisi attuale come Galileo sta alla fisica moderna.

Il metodo psicoanalitico era inizialmente inteso per esplorare alcuni eventi psicopatologici; successivamente è stato affinato e ampliato con lo scopo più generale di studiare tutti i processi che regolano il comportamento delle persone. Questi processi vengono individuati e ricostruiti attraverso la narrazione messa insieme dall’analista e dall’analizzando. L’analizzando può esperire durante l’analisi i propri processi mentali che sono sottesi agli eventi che devono essere esplorati come se essi fossero stati e fossero coscienti. Ciò è quanto viene generalmente inteso con la proposizione “rendere cosciente l’inconscio”. In realtà, tutte le scienze psicologiche studiano la mente cioè studiano l’inconscio. Quello che caratterizza la psicoanalisi è il fatto che l’inconscio viene studiato attraverso l’osservazione- traduzione che passa attraverso la partecipazione del soggetto ed il suo racconto e alla fine formulata in termini narrativi, cioè, verbali; ossia come se quei processi che si vogliono indagare fossero stati esperiti dalla coscienza del soggetto e da questi riferiti. La coscienza, che è responsabile della formulazione verbale, è usata dalla psicanalisi pur essendo questa la prima scienza psicologica che della coscienza ha riconosciuto l’ingannevolezza. La specificità della psicanalisi quindi sta nell’aver individuato una serie di procedure adatte ad usare il filtro della coscienza del soggetto e al contempo decontaminarlo dalla sua ingannevolezza e mistificatorietà. Queste procedure sono basate sulla progressiva osservazione della relazione interpersonale tra analista e analizzato; la relazione è mediata dalla loro comunicazione (Verbale, metaverbale e non verbale) ed agli effetti di cambiamento che ha sull’analizzando.

Sigmund Freud è stato il fondatore della psicoanalisi e nel 1923 ne ha dato la seguente definizione:

La psicoanalisi è:

  • Un procedimento per l’indagine di processi psichici cui altrimenti sarebbe pressoché impossibile accedere
  • Un metodo terapeutico basato su tale indagine per il trattamento dei disturbi nevrotici
  • Una serie di conoscenze psicologiche acquisite che gradualmente si armonizzano e convergono in una nuova disciplina.

Ecco alcune scoperte fondamentali della psicoanalisi:

  • L’inconsapevolezza del sistema motivazionale che determina il comportamento delle persone
  • L’inganevolezza che il soggetto può ottenere alla introspezione
  • Le libere associazioni come chiave di interpretazione dell’inconscio
  • La contiguità tra processi psichici inconsci e eventi somatici
  • La resistenza con varie forme descritta come difesa
  • I processi di trasfert e controtransfer
  • Il setting visto come laboratorio per l’indagine
  • L’importanza della relazione tra analista e analizzando, attraverso la reciproca comunicazione inconscia, come fattore di cambiamento.

Complesso di Edipo, Super Io, pulsioni: ecco alcune formulazioni psicoanalitiche molto conosciute. Si tratta di teoria, concetti, modelli e hanno un valore strumentale limitato: le teorie non sono né vere le false ma possono essere più o meno utili allo sviluppo di una scienza e spesso vengono sostituite con teorie migliori. Le scoperte restano le teorie cambiano. La teoria freudiana, che è quella più conosciuta nel vasto pubblico, è solo una di quelle utilizzate dagli psicanalisti. Un altra teoria è quella di Melanie Klein.

La teoria freudiana è detta energetico-pulsionale poiché parte dal concetto di pulsione e ipotizza una concezione energetica in cui tutto il funzionamento mentale è spiegato attraverso una dinamica e una economia di flussi energetici (Libido).

La teoria di Melanie Klein, invece, parte dal concetto di soggetto interno e di fantasia e può essere definita come una teoria semantico-rappresentazionale: i processi mentali sono descritti attraverso una complessa rete di rappresentazioni e di significati.

(modificato da Novellino, Scegliere lo psicoterapeuta, come e quando, Franco Angeli/Le comete)

La psicologia analitica junghiana

SI tratta di una teoria psicologica e un metodo di indagine del profondo elaborato dall’analista svizzero Carl Gustav Jung e dagli allievi della sua scuola.

Si pensa erroneamente che la psicologia analitica di Jung sia derivata direttamente dalla psicoanalisi freudiana e che lo stesso Jung fosse allievo di Freud mentre invece Jung elaborò una propria visione dell’inconscio autonomamente da Freud.

I due collaborarono per alcuni anni ma nel 1913 si verificò una rottura mai ricomposta. In quell’anno, con la pubblicazione del libro “Libido. Simboli della Trasformazione”, Jung si distaccò da Freud sostenendo che la libido non è solamente energia sessuale, che mira a scaricarsi con il raggiungimento dell’oggetto desiderato, ma è invece l’energia psichica in toto; l’inconscio, inteso da Freud (almeno inizialmente) come mero ricettacolo del rimosso, è visto invece da Jung come una porzione della psiche che contiene altri contenuti che non sono mai stati parte della coscienza.

L’osservazione dei contenuti dei sogni, dei deliri psicotici, della mitologia e della storia delle religioni portò Jung a ipotizzare un ulteriore dimensione dell’inconscio che definì “inconscio collettivo“, i cui contenuti chiamò archetipi. Per la psicologia analitica junghiana, il processo di individuazione archetipica costituisce la finalità dell’esistenza di ogni persona.

La psicologia analitica junghiana segue nella propria indagine un metodo finalistico, il cui obiettivo è la ricerca del senso dei processi inconsci e della sofferenza psichica. Di fondamentale importanza è la teoria del simbolo, inteso da Jung come motore dello sviluppo psichico e strumento di trasformazione dell’energia psichica, originato dal confronto della coscienza con l’inconscio ed i suoi contenuti.

L’inconscio personale non è, come per Freud, il “luogo del rimosso”, cioè un contenitore psichico vuoto alla nascita, che man mano si popola di complessi causati da episodi traumatici infantili. Per Jung anzitutto l’inconscio non è “vuoto”, ma è il contenitore di forme archetipiche universali ereditarie, all’interno del quale si organizzano le esperienze individuali. Inoltre esso precede la formazione dell’Io cosciente, e contiene il progetto esistenziale dell’individuo che ne è portatore, qualcosa che fa pensare ad una sorta di codice genetico psichico.

Anche per Jung, come per Freud, l’inconscio non è direttamente osservabile ma solo attraverso l’analisi e il processo di individuazione.

Jung pensava che nel sintomo nevrotico come nel delirio psicotico affiorino immagini e idee che non sono proprie personali del paziente, ma che gli pervengono da un “fondo arcaico”, e le cui figure possono desumersi da culti, religioni e mitologie antichi appartenenti a tutti i popoli: sono gli archetipi, forme alla base dell’inconscio collettivo, condivise da tutta l’umanità, che costituiscono, nel campo psicologico, l’equivalente di ciò che in campo antropologico sono le “rappresentazioni collettive” dei primitivi, o, nel campo delle religioni comparate, le “categorie dell’immaginazione”.

La dinamica dualistica ed esclusiva tra Eros e Thanatos in cui Freud aveva individuato e confinato il motore energetico della nevrosi, in Jung si articola e si moltiplica in funzione della pluralità delle figure archetipiche che popolano l’inconscio.

Il sintomo non richiede più una spiegazione in chiave di causa-effetto, ma viene considerato esso stesso una “domanda di significato” rispetto al disagio soggettivo che esprime.

Il disturbo psichico smette così di essere considerato una malattia, e l’intervento analitico non viene più considerato solo una “cura”; ne consegue che la pratica psicologico-analitica junghiana non mira più ad una “guarigione”, ma ad individuare il senso simbolico e archetipico del disturbo, e ad aiutare il suo portatore ad utilizzarne l’energia ai fini della “trasformazione” e della propria individuazione.

Lavorare con gli archetipi richiede certamente molte conoscenze di tipo non clinico, perché richiede anche molta immaginazione e accompagnare il paziente in questa esplorazione richiede da parte del terapeuta un’attenzione non solo intellettuale, ma anche empatica. E’ quindi  evidente che, nell’analisi junghiana, la psiche del terapeuta è “messa in causa” dall’analisi non meno di quella del paziente. Da questo punto di vista, la teoria della tecnica junghiana ha prefigurato alcuni dei più recenti sviluppi della psicoanalisi intersoggettiva.

La psicoterapia  analitico-transazionale

L’analisi transazionale (AT) nasce negli anni 50 ad opera dello psichiatra Eric Berne che sviluppò un modello di personalità, di comportamento umano e di relazioni basato sull’equilibrio tra tre diversi sistemi di interpretazione e reazione: gli stati dell’Io. Si tratta di esperienze vissute in piena consapevolezza e che si formano sia in risposta ai vissuti dell’infanzia (là ed allora) che a quelli del momento presente (qui ed ora).

Berne formulò la sua teoria in modo semplice e quindi facilmente comprensibile con l’obiettivo di rendere accessibile a chiunque una lettura di se stessi e degli altri chiara, profonda e non invasiva allo stesso tempo. Differenziandosi in modo netto da Freud, secondo il quale Es e super-Io non sono osservabili direttamente ma valutabili solo dopo l’analisi dell’inconscio, Berne affermò che gli Stati dell’Io sono osservabili direttamente come comportamenti, emozioni, pensieri e modalità relazionali.

Gli altri due concetti teorici fondamentali su cui è basata la psicoterapia analitico transazionale sono i giochi e il copione. I giochi psicologici sono le comunicazioni e i comportamenti tra le persone in risposta a stimoli inconsapevoli derivanti da esperienze e decisioni infantili. Si tratta di situazioni sempre spiacevoli per i “giocatori” che pensano e agiscono senza consapevolezza sulle reali motivazioni. Il copione è il piano di vita che ciascuno di noi mette in atto in età infantile per sopravvivere, sia psicologicamente che fisicamente, alle difficoltà ambientali e relazionali.

Il metodo psicoterapeutico che deriva dal modello AT è basato sull’analisi degli Stati dell’Io (interna e nelle relazioni), dei giochi e del copione. Il metodo classico Berniano consiste nell’attivare progressivamente lo Stato dell’Io Adulto decontaminandolo dalle influenze inconsapevoli sia del Bambino che del Genitore; successivamente si passa a “deconfondere” lo Stato dell’Io Bambino portando alla coscienza sia i giochi che il copione di vita. Tali analisi partono dall’osservazione delle dinamiche tra terapeuta e paziente o tra pazienti di un gruppo.

Altri aspetti metodologici della psicoterapia analitico transazionale sono l’impostazione di tipo contrattuale e la ricerca obbligata dell’alleanza terapeutica in cui terapeuta e paziente concordano su metodi e obiettivi.

I disturbi che rispondono bene alla psicoterapia AT sono quelli dell’umore (depressione), i disturbi d’ansia (paure, fobie, attacchi di panico), i disturbi generali di personalità. Rispondono male, e sono quindi da considerarsi una controindicazione, i disturbi del pensiero (psicosi acuta) e le tossicodipendenze.